Intervista a Robert Picardo: come è nato il personaggio di Richard Woolsey?

Robert Picardo, intervistato in occasione della STARCON 2018, ci racconta come è nato e come è cresciuto il suo personaggio in Stargate: Richard Woolsey. Ringraziamo lo staff del club che si occupato della traduzione.

La prima volta che ho partecipato a Stargate, credo fosse il 2005, è stata in occasione della puntata intitolata “Heroes” (settima stagione). L’attore ospite era Saul Rubinek (che interpretava il giornalista Emmett Bregman) e questa puntata era molto bella ma troppo lunga di dieci minuti. Quindi, quello che mi hanno detto in seguito, è che i produttori non volevano tagliare questi dieci minuti in eccedenza ed erano andati dal canale SyFy per chiedere soldi in più, trasformando l’episodio in un episodio doppio, ovvero in due puntate. Però avevano solo dieci minuti di materiale extra e quindi avevano bisogno di circa trentadue minuti di materiale “riempitivo”. E quindi hanno chiamato me.

Volevano usare degli spezzoni tratti da tutte le puntate precedenti della stagione e avevano bisogno di un personaggio che legasse tutte insieme queste scene. Quindi il mio personaggio, il signor Woolsey, è stato introdotto come un cattivo. Era successa una cosa terribile, la morte della dottoressa Frasier durante una missione extramondo, ed il mio personaggio era stato chiamato per riesaminare tutto quanto era accaduto fino al momento della tragedia. Quindi il mio compito era quello di mettermi lì, scoprire perché era morta e assegnare la colpa alla persona giusta. Il signor Woolsey però era un uomo senza personalità, senza senso dell’umorismo, senza alcuna qualità positiva come essere umano. Era uno stronzo. He was a…. Mister Woolsey è… stronzo grande.

Ma i produttori della serie hanno pensato che, anche se il signor Woolsey era uno stronzo grande, il signor Picardo non era male. Era bravo e simpatico e quindi hanno deciso che mi avrebbero fatto tornare. Il problema era che avevano creato un personaggio che non piaceva a nessuno e quindi, quando mi hanno richiamato, hanno dovuto gradualmente introdurre delle qualità positive. Nella prima puntata ero solo uno stronzo grande. Quando sono tornato ero diventato uno stronzo grande che però aveva buone intenzioni. La volta successiva ero uno stronzo grande che aveva buone intenzioni e sapeva dentro di sé di essere un grande stronzo. Quando sono tornato la quarta volta, ero uno stronzo grande che aveva buone intenzioni, che sapeva di essere un grande stronzo, ma non voleva più esserlo per forza. Ogni volta che tornavo, avevo una piccola qualità positiva in più.

Ad un certo punto, i produttori della serie mi hanno chiamato al telefono e mi hanno detto: “Vogliamo che tu diventi il nuovo comandante della spedizione di Atlantide”. Io ho detto: “Ma come è possibile?! Non piaccio a nessuno, non ho nessun talento di comando, sono un vigliacco che scappa dal pericolo più in fretta di chiunque altro e sono uno stronzo grande.” E loro mi hanno risposto: “Tu non ti preoccupare, questo è un problema nostro.” Allora ho detto: “Ok, va bene. Lo faccio.” Quello che mi piace della mia interpretazione nelle tre serie di Stargate è che il mio personaggio nel corso della propria vita cerca di reinventarsi. Dopo aver trascorso una vita intera a valutare il comportamento degli altri, quindi qualcuno che sta comodo in una sala conferenze e commenta il lavoro vero che stanno facendo gli altri là fuori, qualcuno che non si trova mai personalmente in pericolo ma si limita a valutare il comportamento di quelli che il pericolo lo corrono veramente… decide di fare tutto quello che fino a quel momento aveva soltanto commentato. Decide quindi di accettare il ruolo di comandante anche se non ha nessuna esperienza di questa mansione ed io ho ritenuto che questo fosse una sfida interessante dal punto di vista attoriale: interpretare il ruolo di un personaggio che sta cercando, avanti negli anni, di reinventarsi completamente. E quello che secondo me l’ha reso particolarmente interessante è che oggi ci sono tante persone nella mezz’età che devono trovarsi degli impieghi nuovi, a causa dei progressi tecnologici, delle intelligenze artificiali e del fatto che i loro lavori vengono sostituiti dall’automazione. C’è molta gente che a quaranta, cinquanta, sessant’anni, si trova senza lavoro e senza reddito e a quel punto della propria vita devono chiedersi: “Adesso che posso fare?”. E questa credo sia una delle cose che ho trovato di interessante nell’interpretare il signor Woolsey. L’altra cosa è che ero stufo di interpretare la parte di uno stronzo grande.

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